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13 agosto 2012

Regolamento attuativo riforma delle professioni

La montagna partorisce il topolino

Carlo Carboni dalle pagine del Sole 24ore scrive che la vera svolta per le professioni parte dal basso. La politica dei piccoli passi, scrive carboni, appare l'unica percorribile in questo momento. Sarà, ma a noi sembra che mentre la crescita del Paese ha la velocità di una "lumaca", le politiche messe in atto per renderla almeno pari a quella di una modesta utilitaria sono totalmente insufficienti.

Il regolamento attuativo firmato in settimana dal Capo dello Stato della manovra relativa di Ferragosto dello scorso anno appare del tutto insufficiente a dare una vera sterzata alle libere professioni italiani. Nessuna ciuriosità per farmacisti e notai che ne sono tagliati fuori, ma dopo la lettera della BCE e trenta anni di progetti, riunioni, disegni di legge e fiumi d'inchiostro la montagna ha veramente partorito il topolino con la complicità di vecchi e nuovi governi.

Per tutti valga questo articolo di Marco De Allegri pubblicato la scorsa settimana da Europa Quotidiano:

Nuovi Ordini, vecchie sindromi

 Lo scorso 15 giugno, in osservanza con le decisioni precedentemente assunte dal governo nel settembre 2011, il consiglio dei ministri ha emanato la bozza di decreto del presidente della repubblica in materia di “riforma degli ordinamenti professionali”. Si ripete, come dal copione visto negli ultimi 15 anni, lo stesso schema e le stesse reazioni.
Dopo una prima fiammata (almeno in forma di annuncio) liberalizzatrice è arrivata la ministra Severino che con un poderoso getto di estintore ha spento ogni entusiasmo e il 15 giugno dopo la “necessaria” decantazione presenta la solita ricetta, con qualche notevole peggioramento, rispetto al solito clichè. Ora il decreto di riforma è in fase di pubblicazione sulla Gazzetta ufficiale modificato dopo le osservazioni del Consiglio di stato e le pressioni degli ordini, ricevuti anche l’ultimo giorno utile giovedì 2 agosto.
Vediamo allora gli ingredienti: rimangono alcuni grandi classici come il mantenimento dell’esame di stato così com’è, e naturalmente non una parola sulla riduzione nel numero o l’accorpamento di alcuni ordini; poi vi sono le variazioni apportate dal governo che sulla carta è il più liberale che l’Italia abbia mai avuto, vista la storia del presidente del consiglio Mario Monti e di Antonio Catricalà due ex-antitrust di peso. Enunciazioni di principio (giustissime) come: «L’esercizio della professione è libero e fondato sull’autonomia e indipendenza di giudizio intellettuale e tecnico» e il comma successivo (3) dello stesso articolo 2: «Non sono ammesse limitazioni, in qualsiasi forma, anche attraverso previsioni deontologiche, del numero di persone titolate a esercitare la professione», vengono nello stesso comma 3 subito smentite: stiano tranquilli notai e farmacisti titolari di licenza, nessuno toccherà i vincoli territoriali già in essere.
Così gli esami di notariato si potranno continuare a falsare e i farmacisti che non sono doc (cioè non sono figli di farmacisti con licenza o figli di persone abbienti), benché possessori di tutti i requisiti di legge, non avranno il diritto di aprire la propria farmacia.
Ma andiamo avanti; il dispositivo del governo prevede l’obbligo di assicurazione per il professionista, e il principio in se è giusto, solo che poi se lo immaginiamo diffuso a tutte le professioni sarà ben difficile che possa essere utile data la farraginosità e la contradditorietà delle normative italiane, insomma alla fine è forte il rischio che si tramuti solo in un’altra tassa per i professionisti, di nessuna utilità né per loro né per gli utenti.
Inoltre nell’ultima versione gli ordini hanno ottenuto una proroga per poter stipulare dei contratti collettivi con le compagnie: a mio modesto parere, questo così come altre iniziative di carattere commerciale, contrastano con la natura legislativa e costituzionale degli Ordini che non sono libere associazioni ma organi di magistratura speciale (di categoria) ad iscrizione obbligatoria, con compiti precisi e definiti dalla legge, ben lontani da organizzazioni di carattere commerciale o che possono muoversi liberamente sul mercato. Poi si disciplina il tirocinio: dovrà durare diciotto mesi, ma si potrà parzialmente svolgere durante l’ultimo anno di università, più sei mesi di formazione presso l’ordine, dopodichè si può accedere all’esame di stato, manca solo il salto nel cerchio di fuoco e poi siamo a posto. Per inciso l’età media dei laureati specialistici italiani (3 + 2) è 27,5: se poi aggiungiamo tirocinio e esame di stato i baroni delle professioni possono proprio dormire sonni tranquilli.
Sulla divisione tra funzione amministrativa e di disciplina all’interno degli Ordini, il governo fa un timidissimo tentativo di separare le funzioni, stabilendo dei meccanismi minimi di terzietà, ma debole e inefficace, poichè lascia questo rilevantissimo compito tutto all’interno delle categorie: nessun esponente delle associazioni di consumatori o giurista all’interno delle commissioni di controllo deontologico; saranno solo avvocati a giudicare altri avvocati per esempio, insomma il conflitto di interesse è palese.
Infine viene normato e reso obbligatoria un cavallo di battaglia degli ordini: la formazione continua. Tutti i professionisti italiani saranno costretti ad aggiornarsi, anche qui si parte da un giusto principio e lo si trasforma in un fastidio burocratico che genera però un grande business della formazione gestito dagli Ordini che hanno ottenuto, nell’ultima versione del decreto, di avere la podestà di decidere quali soggetti potranno proporre i corsi.
Sempre su questo punto la normativa, in modo subdolo, dice che le professioni che fino ad ora non prevedono la “formazione continua” possono continuare a non prevederla. Solo per fare un esempio il Consiglio nazionale architetti, professione che non la prevede, si è immediatamente affrettato a dire che a breve si studieranno i meccanismi per introdurla, non avevamo dubbi in proposito. Naturalmente nessuno ha fatto notare che anche qui ci sarà un aggravio di costi per i professionisti che peraltro la “formazione” la fanno all’università e che dopo semmai fanno “aggiornamento”.
Qualcuno diceva che le parole sono importanti… già! Per concludere nessuna seria riflessione sul senso e il futuro delle professioni regolamentate o meno, solo la solita difesa ottusa del proprio orticello (peraltro nemmeno quello delle intere categorie).
Vedremo cosa succederà sul tema delle società tra professionisti, ma chiunque affronti questi temi, persino un governo di tecnici, non è in grado di uscire da una sorta di sindrome paralizzante che gli impedisce di pensare altro e se crede di fare sviluppo nel settore dei servizi professionali con questa impostazione (la solita), andrà incontro ad una grossa delusione.

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