09 agosto 2011
Articolo 41: riforma inutile e grottesca
Non serve modificare la Costituzione per far tornare a crescere il Paese
Mentre l'Italia affonda sotto i colpi della speculazione finanziaria, la modifica dell'Articolo 41 proposta dal Ministro dell'Economia Tremonti come la "madre di tutte le liberalizzazioni" e fatta propria del Governo durante una imbarazzante conferenza stampa in cui veniva annunciato quanto richiesto da Comunità Europea, ovvero l'anticipo della manovra economica è una risposta ridicola alla necessità del Paese di crescere.
Cosa significhi permettere tutto ciò che non vietato in pochi lo hanno capito, stante il fatto che se esiste una legge che regola una certa attività essa non potrà essere modificata da una riforma sifatta. Non verranno di certo "scalfite " le rendite di posizioni, i privilegi e le caste arrocate nei castelli del potere.
Tremonti utilizza impropriamente l’espressione “liberalizzazione” perché sa che l’argomento piace molto ai cittadini; agli imprenditori in primis. Ma nella sua proposta non v’è traccia alcuna di liberalizzazione propriamente detta.
Quest’ultima, infatti, si ha quando si apre un settore alla concorrenza di molteplici operatori; quando si consente a più soggetti, e non ad uno solo in regime di monopolio, di vendere/offrire il medesimo servizio o la medesima merce; onde migliorarne la qualità ed abbassarne, attraverso la concorrenza, il prezzo.
A pensarla in questo modo fortunatamente non siamo soli.
Parti sociali, economisti ed autorevoli esponenti della società civile, capaci di espirmere un pensiero non ideologizzato, comprendono che in realtà non c'è la volontà di attuare alcuna riforma liberale.
Modificare l’Art. 41, cancellando il criterio che la legge ordinaria possa indirizzare a fini sociali l’attività economica, significa dichiarare l’intenzione che lo Stato abdichi alla capacità di controllo, ed indirizzo dell’economia e della finanza. Che, al contrario, hanno bisogno di regole chiare e certe. Quando la concorrenza all'interno di un mercato è priva di regole essa non è concorrenza, ma solo la supremazia del più forte sul più debole. E su questo s' inserisce l'inadeguatezza programmatica della riforma proposta: ciò che di sbagliato, corporativo ed iniquo esiste nei settori produttivi del Paese (in particolare in quello dei servizi) non verrebbe cambiato, ma tutto il resto sì ed in peggio. I pù forti, i più vicini al potere sarebbero posti nelle condizioni d'inserirsi nei numerosi "buchi neri" dell'economia per imporre la propria legge.
Chi parla di liberalizzazioni ed opportunità per i più giovani non immagina una economia anarcoide, chiede più semplicemente che le regole vengano rformate in modo da offrire a tutti le stesse opportunità.
E' tanto difficile da capire?